Cos’ è l'”accettazione“?
Ne abbiamo sentito certamente parlare, ne abbiamo sicuramente letto; siamo ormai convinti che l’accettazione sia un passo essenziale per raggiungere la reale consapevolezza di sé.
Tuttavia come la potremmo descrivere, con parole semplici e, soprattutto, senza il rischio di fraintendimenti?
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ToggleAccettazione e situazioni spiacevoli
“Quando ti capita qualcosa di spiacevole, l’accettazione significa riuscire ad andare avanti senza affliggersi”, ecco; chissà poi perché il più delle volte l’accettazione viene declinata congiuntamente a qualcosa di sgradevole.
Vincere alla lotteria, dunque, non è un evento da “accettare”? In molti compiono grandi, grandissimi sforzi per affrontare le sofferenze, piccole e grandi, che la vita ci offre lungo il cammino.
Esistono persino visioni spirituali, religioni e filosofie – di primissimo piano – che fanno del “sacrificio” uno dei propri momenti cruciali; il sacrificio (ovvero il rendere sacro, sacrum facere) diventa il gesto massimo di dedizione e affidamento alla propria fede, ideologia…
Per altri, tuttavia, l’accettazione è qualcosa di differente; volendo essere sintetici, non sarebbe errato affermare che l’accettazione è l’attitudine a riconoscere la natura intrinsecamente trasmutativa di un evento, e con questo potremmo finirlà lì, non ci sarebbe altro da aggiungere.
Tuttavia vorremmo provare a fornire dell’accettazione una cognizione trasparente, declinata in parole chiare e semplici, confinando i rischi – sempre possibili – di fraintendimenti, volontari e non.
Dunque diciamo qualcosa di più, anzi, perché non fare qualche esempio?
Cominciamo col chiarire che l’accettazione implica la presenza di un elemento specifico, un evento materiale o una circostanza specifica, così come pure di un pensiero, un’emozione.
Tutto può diventare qualcosa da accettare, con l’unica condizione che sia un elemento indipendente dalla nostra volontà cosciente (parliamo di “trasparenza” ma quanti sottintesi si possono nascondere in una affermazione come questa!).
Mentre guidiamo la nostra macchina, foriamo una gomma; che disdetta! Ok, probabilmente non reagiremmo con questa flemma, ma ora dobbiamo affrontare tutti i disagi che ne derivano; magari sta anche piovendo, già c’è traffico e sicuramente faremo tardi a quell’appuntamento cui tanto tenevamo.
Sacrificio e dedizione
Come si può accettare quest’evento o, meglio, cosa significa esattamente “accettare” ciò che è capitato?
Esistono fondamentalmente due approcci a questo genere di situazione.
Da un lato c’è la via che chiameremo “del sacrificio” e dall’altro, contrapposta alla prima, quella “del distacco”; ora dedichiamo qualche istante per descriverle senza giudizi, rinviando a dopo poche considerazioni su quale delle due possa essere quella più corretta.
La via del sacrificio
La via del sacrificio, come l’abbiamo etichettata, è quella percorsa da chi, nell’evento accaduto (la gomma forata nel nostro banale esempio) vede una circostanza, una prova, messa sul nostro cammino dal destino, dal Karma o dalla provvidenza Divina stessa e, in quanto tale, inevitabile.
La via del sacrificio insegna come bere l’amaro calice sia un gesto di profonda e convinta fede nel divino; ricordiamo, ad esempio, «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» dal Vangelo di Luca 22-42.
Nelle parole del Cristo, e nei fatti – così come descritti sino alla stessa “ultima cena” – il calice diventa esso stesso il simbolo della sofferenza. Sofferenza che è indesiderata dall’uomo, persino dal Figlio di Dio ma a cui accede dolorosamente affinché venga realizzata la Sua volontà.
Meno drammaticamente, tornando alla ruota bucata, la via del sacrificio ci suggerisce che l’accaduto risponde a disegni o volontà superiori e che comunque sfuggono alla nostra limitata comprensione; simili eventi vanno dunque accettati per quel che sono, mettendo in conto che il dolore che ne deriverà non può essere evitato ma solo sopportato.
In questo senso, la via del sacrificio appare orientata più a “sopportare” un evento che ad accettarlo… Ora, è d’obbligo chiedere scusa per la superficialità di queste parole; nella fede Cristiana, come in quella Giudaica e altre ancora, il sacrificio è un momento di fondamentale importanza nella crescita spirituale del devoto che può (e dovrebbe) imparare ad accogliere il dolore come un dono e offrire le proprie sofferenze a Dio, così come prima e meglio ci è stato mostrato.
Tuttavia, confidando nella comprensione di chi legge, nell’economia di questi banali ragionamenti, non approfondiremo ora questi temi; sia sufficiente, per il momento, ricordare come la via del sacrificio insegna a sopportare gli eventi senza giudizi, chinando il capo e recando sulle spalle la propria croce.
La via del distacco
C’è poi l’altra via, quella del distacco. In questa prospettiva ciò che accade è, analogamente a prima, inevitabile ma allo stesso tempo limitato dalla nostra percezione, fisica e mentale.
Ciò che avviene accade solo perché noi lo avvertiamo. Il dolore arrecato da un evento, materiale o non che sia, produce i propri effetti esclusivamente sul nostro corpo fisico o mentale.
Tutto – o molto – muove dall’idea che noi si sia altro che semplicemente il nostro corpo o i nostri pensieri; se il nostro corpo viene offeso da una ferita, a soffrirne è soltanto esso, la nostra componente materiale. Altrettanto dicasi per una sofferenza psichica; ciò che ci offende, ci fa arrabbiare o ci addolora resta confinato nel recinto della nostra mente.
La nostra vera natura – quella spirituale appunto – non viene neppure sfiorata da tutto ciò! In questo senso, gli eventi possono produrre su di noi i propri effetti solo se siamo noi stessi a concedergli questo potere.
Da ciò l’idea del distacco; riconoscendo che questi eventi non posseggono in sé il potere di recarci dolore, possiamo letteralmente allontanarli dalla nostra esperienza, così raggiungendo infine la Mokṣa, la liberazione (dagli affanni della vita).
Le due vie a confronto
A guardarci meglio, le due vie, come prevedibile, posseggono non pochi punti di contatto. Tuttavia è evidente che è impossibile dire quale delle due sia “preferibile”. Dunque, tutto tempo perso? Proprio no, spero… Soffermiamoci ancora qualche istante sulla nostra gomma forata.
A prescindere da quale delle due vie sia la nostra prediletta, ciò che conta è quello che (ci) accadrà dopo. Forse quell’episodio resterà un caso isolato nella nostra vita, diventando presto un aneddoto da raccontare durante le serate con gli amici.
Oppure, auspicabilmente, quell’episodio ci fornirà l’occasione per cambiare qualcosa nella nostra vita; magari staremo più attenti allo stato d’usura del battistrada o, semplicemente, guideremo con maggiore attenzione ai marciapiedi per salvaguardare le gomme del nostro veicolo.
Se quell’episodio resterà un semplice fatto fastidioso, lo priveremo non soltanto della possibilità di avere un effetto su di noi, ma anche di insegnarci qualcosa.
L’accettazione e l’apprendimento
Pensiamo ad esempio ai violenti monsoni che si abbattono su quelle terre in cui è fiorita la via del distacco; forse che, dopo il tifone, il contadino – che vede la propria abitazione ancora una volta divelta dal terreno, le coltivazioni danneggiate, gli animali dispersi – “fa finta che nulla sia successo”? Certo che no! Non si limita a aggiustare il tetto e ripristinare i campi, ma certamente farà tesoro di ciò che è avvenuto, modificando la struttura della casa o del pollaio, piuttosto che creando un riparo differente per le piante.
Lui ha compreso il valore dell’accettazione, lui sa che non potrà sottrarsi al prossimo evento torrenziale, ma sa pure che ogni volta può imparare a difendere meglio la propria famiglia per garantirne la sopravvivenza.
La stessa idea del sacrificio verrebbe assai svilita se la privassimo della possibilità di insegnarci qualcosa; per quanto imperscrutabile possa essere la volontà Divina cui aderiamo nel bere quel calice, certo non ci viene chiesto di non percepirne il sapore, pure nella sua amarezza, anzi.
In questo sta ciò che, assai sinteticamente, si affermava a proposito della piena nozione della accettazione, cioè la capacità di riconoscere la natura intrinsecamente trasmutativa di un evento. Attenzione, di qualsiasi evento!
L’accettazione come apertura alla vita
Avete mai notato, infatti, come l’accettazione venga tirata in ballo quasi sempre al verificarsi di eventi dolorosi o comunque sgradevoli? Confesso di non aver mai letto del bisogno di accettare di vincere alla lotteria, piuttosto che di aver evitato un incidente o di essere in buona salute… Molto più spesso si legge di “saper accettare il lutto” o di “accettare la malattia”, ma perché?
Perché si dovrebbe imparare ad accettare solo ciò che ci procura dolore? Nella corretta declinazione di accettazione, ogni evento è portatore di un intrinseco potere trasmutativo, cioè capace di “cambiare le cose” in noi, bello o brutto che sia.
Rendere sacra la nostra sofferenza significa riconoscere valore alla nostra esperienza, per quanto spiacevole possa apparire; e che valore può avere un evento da cui ci allontaniamo o che ci limitiamo a sopportare pazientemente? Non è questo, credo, ciò che ci viene richiesto. L’apertura alla vita è la disponibilità a sperimentare tutte le sue infinite sfumature, tutti i suoi mille sapori, dal più dolce al più amaro: tutto può insegnarci qualcosa.
L’esperienza terrena è essa stessa un continuo susseguirsi di possibili esperienze e sta a noi cercare di cogliere gli insegnamenti che ciascuna di esse può darci. Non commettiamo l’errore di pensare che solo le sofferenze celino un significato più grande.
Non sarebbe come affermare che possiamo imparare solo da ciò che ci fa soffrire? È davvero questa la vita che vogliamo?
L’universo – la vita – è sempre incredibilmente reattivo e pronto a offrire ciò verso cui rivolgiamo le nostre energie (consapevolmente o non), quindi siamo pronti a cogliere ogni occasione, e stiamo attenti ai nostri desideri!
Lettura consigliata
- Vanini, Kira (Autore)
Ultimo aggiornamento 2024-10-03 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
Una risposta
Articolo molto interessante ed utile. Grazie! 😊🙏🏻