Basta con la positività tossica! O forse no?

Positività tossica o paura della responsabilità? Esploriamo il confine tra incoraggiamento e negazione del dolore, e perché la positività non è il nemico.
kira vanini in spiaggia

Qualche giorno fa ho ricevuto un commento su Instagram che diceva più o meno così:
“Questa roba della positività è tossica. Non si può sempre vedere il lato positivo di tutto, a volte bisogna solo accettare che la vita fa schifo.”

Un’altra persona mi ha scritto:
“Non tutti possono semplicemente ‘scegliere’ di stare meglio. Alcuni di noi soffrono davvero. Dire di guardare il lato buono è come negare il nostro dolore.”

Leggendo queste parole, mi sono ritrovata in un limbo di emozioni contrastanti. Da un lato, capisco perfettamente il punto di vista di chi le ha scritte. Dall’altro, però, mi chiedo: Davvero spingere le persone a trovare il lato positivo è “tossico”?

Viviamo in un’epoca in cui qualsiasi messaggio motivazionale, qualsiasi incoraggiamento a cambiare prospettiva, può essere visto come un’imposizione. Un fastidio. Un’ingiustizia quasi personale.

E così, il concetto di “positività tossica” è diventato un’accusa pronta all’uso contro chiunque osi suggerire che la vita non è solo sofferenza.

Ma siamo sicuri di aver capito davvero cosa significhi “positività tossica”? E soprattutto, siamo sicuri che il problema sia davvero la positività… e non qualcos’altro?

Cos’è la positività tossica e perché se ne parla tanto

kira in spiaggia

Il termine positività tossica è diventato sempre più popolare negli ultimi anni, soprattutto sui social.

In parole semplici, si tratta di quell’atteggiamento che nega, minimizza o invalida le emozioni negative, imponendo un’idea di positività a tutti i costi.

È il classico “Dai, sorridi! Pensa positivo!” detto senza ascoltare davvero la persona che sta soffrendo. Oppure il “Tutto accade per una ragione” lanciato come una formula magica, ignorando la complessità delle esperienze umane.

Questa tendenza si è diffusa grazie alla cultura dell’ottimismo forzato, all’industria del self-help e ai social network, dove la felicità sembra essere quasi un obbligo. Basta scorrere Instagram per imbattersi in immagini e video di persone sempre sorridenti. Il messaggio è chiaro: se sei triste, arrabbiato o deluso, il problema sei tu.

Ed è qui che nasce la critica: la positività diventa “tossica” quando viene usata per negare la realtà, per far sentire in colpa chi sta attraversando un momento difficile. Perché, diciamolo chiaramente, a volte la vita fa schifo davvero, e fingere che non sia così non aiuta nessuno.

Ma allora, ogni forma di incoraggiamento o pensiero positivo è tossico? Oppure stiamo facendo un po’ di confusione?

Perché vengo accusata di positività tossica?

Ora che abbiamo chiarito cos’è la positività tossica, arriviamo al punto: perché io stessa vengo accusata di praticarla?

Mi è successo più volte, soprattutto quando scrivo articoli o pubblico riflessioni in cui incoraggio a cambiare prospettiva.

Per alcune persone, queste affermazioni suonano come un rifiuto della loro sofferenza. Mi dicono che non tutti possono semplicemente scegliere di stare meglio, che per qualcuno il dolore è troppo profondo, troppo reale per essere risolto con un cambio di mentalità.

E hanno ragione: il dolore non si cancella con una frase motivazionale. Ma da qui a dire che ogni messaggio di speranza è “tossico” ce ne passa. Il problema non è la positività in sé, ma il modo in cui la interpretiamo.

Forse il vero fastidio non è il concetto di “pensiero positivo”, ma il fatto che questo implica responsabilità personale. Perché se ammetto che ho un margine d’azione, che posso cambiare prospettiva, che posso smettere di alimentare certi pensieri negativi… allora non posso più dare la colpa solo alle circostanze.

E questa è una verità che non tutti sono pronti ad accettare.

La positività non è il nemico

kira sulla sabbia

Ecco quello che penso: la positività non è tossica. Lo diventa solo quando viene usata per negare la realtà o per zittire le emozioni altrui.

Ma nella sua essenza il pensiero positivo non è un’illusione, è una scelta. E questa scelta può fare la differenza tra restare bloccati o andare avanti.

Il vero problema è che spesso chi parla di positività viene frainteso. Dire che possiamo allenare la nostra mente a vedere il lato buono delle cose non significa negare il dolore o l’ingiustizia, ma riconoscere che il dolore esiste e che possiamo decidere come affrontarlo.

Mi viene in mente la storia di persone che hanno vissuto esperienze drammatiche – malattie, perdite, fallimenti – e che, nonostante tutto, hanno scelto di non lasciarsi definire solo dalla loro sofferenza. Queste persone non sono state felici per magia, ma hanno trovato un senso anche nelle loro difficoltà. Se la loro positività fosse stata “tossica”, non avrebbero trasformato il loro dolore in forza.

Ma c’è un’altra questione ancora più profonda: spesso chi accusa gli altri di positività tossica non sta realmente cercando comprensione, ma un alibi per restare nel proprio malessere. Dire che chi vede il positivo sta negando la realtà è più facile che ammettere che forse, a volte, siamo noi a negarci la possibilità di cambiare.

La verità è che il pensiero positivo richiede coraggio. È più semplice cedere alla disperazione, convincersi che non ci sia via d’uscita. Più difficile è dire: “Soffro, ma posso farci qualcosa.”

E questo è tutto tranne che tossico.

Una domanda per te

Alla fine, la vera domanda non è se la positività sia tossica o meno, ma come la usiamo.

Se la usiamo per ignorare la sofferenza, per fingere che tutto vada bene quando non è così, allora sì, può diventare dannosa. Ma se la vediamo come uno strumento di crescita, come un modo per non farci schiacciare dalle difficoltà, allora non è tossica: è potere personale.

La sofferenza esiste, ed è legittima. Nessuno deve sentirsi obbligato a essere felice a tutti i costi. Ma c’è una differenza tra accettare il dolore e rimanerci intrappolati. Tra validare un’emozione e alimentarla all’infinito.

Quindi, ti lascio con questa riflessione: È più tossico cercare il bello nelle cose o restare ancorati alla sofferenza?

Forse, a volte, ciò che chiamiamo “positività tossica” è solo la paura di ammettere che abbiamo più potere di quanto vogliamo credere.

Ultimo aggiornamento 2025-02-07 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API

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4 risposte

  1. Certo tutto dipende da come guardi il mondo dipende da che dipende?????!!!!!!! Se abbiamo avuto il brutto il mondo fa schifo se lo abbiamo avuto bello e’ stupendo!!!!!! Pero’ una bella parola sincera una speranza un credere aiuta tanto senza piangersi addosso un voltare pagina e vorrei ringraziarla di questa teoria Zen che aiuta tanto a capirsi dentro chi siamo e dove vogliamo andare se verso il bene o verso il male!!!!!!!! GRAZIE DI CUORE Continui COSI’ ci da’ la forza 💪 💪💪💪💪💪💕💪💕💕💪💕 sempre con queste perle ! Poi chi vuole capire capisca altrimenti lasciano il tempo che trovano💌

  2. Concordo con le parole di Kira.
    L’amore verso di noi e verso gli altri è l’ancora di salvezza nei momenti di dolore, incertezze e disagi.
    Succede però che ci perdiamo nel mare della tristezza o della solitudine.
    Grazie Kira per le tue riflessioni che non sono teorie ma esperienze della tua vita.
    un abbraccio
    Francesca

  3. Mettere il focus sul lato positivo delle cose non significa negarne quello negativo, ogni cosa ha un lato positivo ed uno negativo e, siamo noi a dare l’etichetta, e quella che diamo oggi non è detto che sia la stessa che daremo domani.

  4. Buongiorno, io credo che occorra liberarsi da tutti gli aggettivi qualificativi e dequalificativi che comunemente usiamo: positivo e negativo, alto e basso, bello e brutto, ecc… perché ogni coppia che ho citato (più tante altre) forma una medaglia: da una parte la gioia, dall’altra il dolore. Pensiamo di essere oppressi dalle avversità e non cogliamo le opportunità che determinate esperienze ci danno. Dopo: una paralisi cerebrale a nemmeno un anno di età, un ictus ischemico a 48 anni, 6 anni di istituto di riabilitazione motoria – mi dicevano – per il mio bene, per guarirmi (come se si potesse guarire da una paralisi cerebrale infantile), nel periodo delle elementari (che normalmente per un bambino rappresenta il momento più delicato perché, oltre alla famiglia c’è la scuola con tutto ciò che ne consegue), vari interventi, cadute, ecc… io mi sarei dovuto sparare da tempo? Ogni volta ho cercato di rialzarmi, di rimettere insieme i pezzi e di andare avanti. Oggi, che sono in pensione, sto cercando di capire il perché di questa mia vita, così pesante al punto che quando la racconto, capisco che sia molto difficile che gli altri credano che si tratti di vita vissuta. Credo di essere sulla strada giusta.

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