Proseguiamo il nostro viaggio nel mondo dell’induismo indagando le divinità che caratterizzano questa religione. Conoscendone infatti la mitologia associata, possiamo comprendere al meglio la natura di queste entità e la loro profonda connessione con l’energia dell’uomo.
Oggi cominciamo esaminando la dea Kali, la sua storia, le sue caratteristiche e la sua energia.
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ToggleChi è la dea Kali?
Kali (in sanscrito कालिका, “colei che è nera” o “colei che è la morte”) è la dea del tempo, del giorno del giudizio e della morte, anche conosciuta come la dea nera (la forma femminile del sanscrito kala, ovvero “giorno del giudizio universale-morte” o “nero”). In India viene chiamata anche Maa Kali.
Le origini di Kali possono essere fatte risalire alle culture tribali e montane dell‘Asia meridionale che furono gradualmente assimilate e trasformate, anche se mai del tutto addomesticate, dalle tradizioni sanscrite.
Kali fa la sua prima apparizione importante nel Devi Mahatmya (“Le glorificazioni della dea”, VI secolo d.C. circa), un antico testo filosofico in sanscrito.
L’iconografia, il culto e la mitologia di Kali la associano comunemente non solo alla morte, ma anche alla sessualità, alla violenza e, paradossalmente, in alcune tradizioni successive, all’amore materno.
Raffigurazione
Sebbene sia raffigurata in molte forme in tutta l’Asia meridionale (e ora in gran parte del mondo), Kali è spesso caratterizzata come nera o blu, parzialmente o completamente nuda, con una lunga lingua penzolante, molteplici braccia, una gonna o cintura di braccia umane, una collana di teste decapitate e una testa decapitata in una delle sue mani.
È spesso ritratta in piedi o mentre balla su suo marito, il dio Shiva, che giace prostrato sotto di lei.
La sua lingua è una questione molto dibattuta: a volte si dice indichi la sua sorpresa e imbarazzo nello scoprire che sta calpestando suo marito. In realtà l’associazione di Kali con una lingua estesa ha radici molto antiche. Un precursore di Kali è l’orchessa Lingua lunga, che lecca le oblazioni negli antichi testi sanscriti noti come Brahmana.
Adorata in tutta l’India ma in particolare in Kashmir, Kerala, India meridionale, Bengala e Assam, Kali è sia geograficamente che culturalmente marginale rispetto ad altre divinità indù.
Dalla fine del XX secolo, studiosi e scrittori femministi negli Stati Uniti hanno visto Kali come un simbolo dell’emancipazione femminile, mentre i membri dei movimenti New Age hanno trovato ispirazione teologicamente e sessualmente liberatoria nelle sue manifestazioni sessuali più violente.
Le origini di Kali
Similmente alla maggior parte delle figure divine, le origini di Kali affondano nel folklore tribale profondamente radicato nella storia dell’umanità.
Il nome Kālī compare per la prima volta nell’Atharva Veda, una raccolta di inni e mantra pubblicata tra il 1200 a.C. e il 1000 a.C. In questi scritti, tuttavia, Kali non è una dea, bensì una feroce lingua nera, una delle sette appartenenti ad Agni, il dio del fuoco.
Devi Mahatmya
Passano altri 400 anni prima che Kali venga descritta come un individuo a sé stante. Ciò avviene quando appare intorno al 600 d.C. nel Devi Mahatmya come una dea sul campo di battaglia che personifica l’ira della Madre Divina Durga (o Devi).
Il suo aspetto in questo momento è terribile: una vecchia scheletrica e spaventosa, di colore nero (un’interpretazione letterale del suo nome), che indossa pelli di animali e regge un khatvanga, il bastone con un teschio sulla sommità associato agli sciamani tribali.
Linga Purana
Altri testi del periodo associano le sue origini a Shiva. Il Linga Purana (dal 500 al 1000 d.C.) descrive come Shiva chieda a sua moglie, la bella dea Parvati, di sconfiggere il demone Daruka, che solo una femmina è in grado di uccidere.
Parvati si fonde così con Shiva, riappare come Kali e non solo decapita i demoni, presentando le teste alla dea madre Durga, ma ne ingoia anche alcuni nella sua enorme bocca. La vittoria è assicurata, ma a un costo terribile: la sua sete di sangue diventa incontrollabile, calmandosi solo quando Shiva interviene.
Vamana Purana
Il Vamana Purana (900 – 1100 d.C.) racconta invece una versione diversa del mito. Quando Shiva si rivolge a Parvati chiamandola Kali, ovvero “colei che è nera”, la moglie si sente offesa ed esegue dei riti per perdere la sua carnagione scura, generando infine Kali come un’entità separata emersa dal suo terzo occhio.
Kali, alla luce di questi miti, è spesso associata al dio Shiva. Il suo stesso nome è la forma femminile di Kāla, un epiteto di Shiva, che la lega così indissolubilmente a lui.
È considerata la shakti (potere) di Shiva e la sua consorte. È strettamente legata a lui anche in molti dei Purana e quando appare in questi scritti svolge un ruolo opposto a quello di Parvati.
Mentre Parvati calma Shiva, neutralizzando le sue tendenze distruttive, Kali lo provoca attivamente e lo incoraggia. Come afferma lo studioso David Kinsley, “non è mai Kali che doma Shiva, ma Shiva che deve calmare Kali”.
Cosa rappresenta Kali?
Osservando le sue rappresentazioni, agli occhi di noi occidentali Kali potrebbe apparire come una dea oscura della mente, del corpo e dell’anima, una misteriosa divinità associata alla morte e alla distruzione. Tuttavia la sua storia è molto più complessa e di vasta portata.
Non può essere facilmente inserita in una tipica narrativa occidentale di bene contro male – Kali, infatti, trascende entrambi.
Nella tradizione indù la sua energia ha molti più risvolti: sebbene Kali fosse ben integrata nella tradizione indù vedica o ortodossa sin dall’inizio, sviluppò anche una relazione parallela con il Tantra.
Uno dei significati del nome di Kali è “forza del tempo”. In questo aspetto è considerata al di fuori dei vincoli dello spazio-tempo e non ha qualità permanenti. Esisteva prima della creazione dell’universo e continuerà ad esistere dopo la fine dell’universo.
Le limitazioni del mondo fisico come il colore, la luce, il bene e il male non si applicano a Kali. È un simbolo della stessa Madre Natura: primordiale, creativa, nutriente e divoratrice a sua volta, ma alla fine amorevole e benevola.
In questo aspetto della bontà viene chiamata Kali Ma, Madre Kali o Madre Divina, e molti milioni di indù la venerano e la adorano in questa forma.
Nella meditazione tantrica, la duplice natura di Kali porta i praticanti ad affrontare simultaneamente la bellezza della vita e la realtà della morte, con la consapevolezza che l’una non può esistere senza l’altra.
Oṃ jayantī mangala kālī bhadrakālī kapālinī.
Durgā ksamā śivā dhātrī svāhā svadhā namō’stutē.– Il mantra di Kali
Un significato più profondo
Oggi, l’immagine di Kali riflette la sua dualità.
Kali è raffigurata nell’atto di uccidere, ma sorride in modo accattivante. La sua lingua rossa sporgente rappresenta sia la modestia (una tradizione bengalese) che la sua sete di sangue.
I suoi capelli arruffati alludono alla brama di sangue sfrenata e, in alternativa, al mistero metafisico della morte che circonda la vita. I suoi tre occhi rappresentano l’onniscienza, i suoi seni voluttuosi sia la lussuria sessuale che il nutrimento.
La sua nudità rappresenta contemporaneamente carnalità e purezza.
La sua collana di teste mozzate e la cintura di braccia indicano la rabbia omicida, ma sono anche metafore tantriche del potere creativo e della separazione dai legami del karma e delle azioni accumulate.
Anche la sua posizione è intrisa di doppi significati. Il percorso rispettabile del Tantra Bianco (Dakshinamarga) è enfatizzato dal suo piede destro che avanza, mentre il famigerato percorso del Tantra Nero (Vamamarga), seguito da praticanti tantrici “degenerati”, è sottovalutato.
Mentre le sue mani destre sono generalmente associate a gesti positivi, le sue mani sinistre reggono armi.
A seconda del numero di braccia è raffigurata con una spada o un tridente insanguinati, una testa appena mozzata e una coppa con teschio per raccogliere il sangue.
Tuttavia, anche questi sono simboli di uno scopo più grande. La spada simboleggia la conoscenza superiore, la testa l’ego umano che deve essere reciso per liberarci dal ciclo delle reincarnazioni.
Nel XX e XXI secolo, molte studiose femministe occidentali hanno adottato Kali come simbolo dell’emancipazione femminile. Alcuni l’hanno politicizzata come simbolo della presunta età dell’oro matriarcale precedente al nostro attuale stato di controllo e declino patriarcale.
I praticanti tantrici New Age adattano le sue evidenti manifestazioni sessuali come strumento terapeutico, mentre Hollywood la impiega come comodo simbolo di malevolenza.
Ma Kali, la vera Kali, continuerà a sfidare tutti i tentativi di domarla e addomesticarla, come ha fatto dall’inizio dei tempi.
Letture consigliate
- Schleberger, Eckard(Autore)
- Odier, Daniel(Autore)
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2 risposte
Kali è la nera semplicemente per la carnagione. Chi ha detto che nero è sinonimo di morte? Millenni di distorsioni di significati.
mi e interesato molto le varie origini che comunicano la nascita dellla dea ,e i vari significati che puo assumere