La fatica del perdono: come (e perché) imparare a perdonare

perdono

Da tempo medito su come concretizzare il bisogno doloroso e struggente di perdonare.

Prima di ogni altra emozione collaterale, il perdono è una necessità forte e impellente che disturba la nostra vita e offusca la mente se non la affrontiamo.
Due settimane fa mi è successa una cosa che forse mi ha aperto qualche spiraglio in questo ambito così pieno di pathos e conflittualità. Prima però vorrei definire con voi il senso della parola “perdono”.

Cosa significa perdono

parole gentili

Perdono deriva dal tardo latino ed è composta da per, un prefisso di completamente, e da donare, che non ha bisogno di traduzione. Quindi perdonare significa donare completamente.

Quanto è lontano dalle ferite e dal dolore che è all’origine del bisogno di perdonare, dalla frustrazione del Sé, dall’assenza di stima, dal terrore di non essere amati ed accettati.
La persona che offende, tradisce, umilia, che è indifferente alla nostra sofferenza – o, peggio ancora, provoca dolore a chi amiamo, – suscita in noi rabbia, rancore, ira, desiderio di vendetta.

Certamente non c’è un solo motivo che ci predispone a non lasciare andare e perdonare, ma di sicuro c’è un modo solo di farlo: spostare fuori da noi tutta questa massa enorme di emozioni negative e dolorose e lasciar andare il male.
Donare in maniera completa la nostra sofferenza e cercare di trasformarla in qualcosa di positivo, di nuovo, di vita.

Trasformare la rabbia in consapevolezza

consapevolezza

Due settimane fa i miei sei cani sono riusciti ad arrivare al mio gatto e l’hanno aggredito, ferendolo per fortuna non in maniera serissima. Quando ho sentito il trambusto che combinavano nell’altra stanza mi sono precipitata e con la scopa in mano li ho allontanati dal gatto, che si era rifugiato sotto il letto.

Sorvolo sulle fasi successive – sgrida i cani e cura il gatto – fatto sta che alla sera ho avuto delle difficoltà ad addormentarmi perché la scena era stata un po’ cruenta e mi tornava in mente.

Passa una settimana, il gatto guarisce e finalmente, concluso il ciclo dell’antibiotico, esce e non torna per nove giorni. Vuoi che sia andato a guarire da solo (i gatti lo fanno), vuoi che avesse paura di tornare per colpa dei cani, non saprei dire.

Sta di fatto che al settimo giorno decido di pulire il suo angolo dove ha fatto la convalescenza (già il fatto che avessi aspettato così tanto per pulire era un segnale) e improvvisamente scoppio a piangere. Ero arrabbiata con i cani naturalmente, con mio marito che ha dimenticato aperto il cancelletto di divisione, con il gatto che dopo tutte le cure non tornava, poi mi sono detta: i cani, per la loro natura, non ne hanno colpa, mio marito non ha fatto apposta, è stato un caso, e il gatto è giusto che faccia quello che fanno tutti i gatti. Quindi perché ero così arrabbiata e ferita?

Il nostro ruolo nel perdono

Pensandoci bene, mi sono resa conto che in fondo mi ritenevo responsabile di quello che era successo, i cani sono una mia scelta e nell’atto di aiutare il gatto mi è rimasto il dubbio di aver contribuito a fargli male.

Ecco, avevo trovato il nocciolo della questione, il mio senso di colpa, il sentirmi inadeguata nell’educare i cani, nel gestire il momento di panico, nell’essere troppo egoista pretendendo che tutto andasse come volevo. Mio marito mi ha consolata e mi ha suggerito di scendere in cantina a vedere se il micio si era rifugiato lì. Lo faccio e non trovo il mio gatto, bensì una micetta randagia e affamata.

Prendermi cura di lei, nutrirla e darle da bere mi solleva lo spirito e mi fa stare meglio, è sempre egoismo, ma positivo, penso che forse così compenserò i danni provocati.

Capire noi stessi per capire meglio gli altri

Forse sta tutto qui: riuscire a capire quanto ci sentiamo responsabili in una situazione difficile, dove qualcuno ci fa male, quanto siamo feriti nel nostro bisogno primario di stare bene.

Naturalmente ci sono situazioni dove è oggettiva la nostra non responsabilità e quindi, paradossalmente, dopo aver avuto giustizia è più facile perdonare.

Se invece la situazione ci vede coinvolti direttamente è più complicato e il lavoro da fare su noi stessi per volgere in positivo ciò che è negativo è più impegnativo, ma di certo non impossibile.

L’oggettività del fatto che i miei cani abbiano bisogno di un po’ di addestramento extra, qualche barriera in più, la mia capacità di mantenere la calma sono fatti innegabili, ma ciò che è importante è riuscire a trasformare una serie di emozioni negative e distruttive in altro.

Esercizio per imparare a perdonare

piantare un seme

Ho elaborato un esercizio un po’ particolare per aiutare a perdonare: è un insieme di meditazione e azione, simbolico e catartico, reale e profondo.
Spero vi aiuti come ha aiutato me, in situazioni anche peggiori di quella che ho raccontato, con tutto il mio cuore.

L’esercizio si compone di due fasi che si possono eseguire in due giorni diversi oppure nella stessa giornata

Ci occorrono:

  • 2 ciotole abbastanza grandi da infilarci le mani, meglio se trasparenti
  • acqua
  • alcol
  • un foglio di carta
  • una penna del colore che più sentite rappresenti le vostre emozioni
  • una piantina da trapiantare (quello che volete, un fiore, del basilico, un’insalatina, una piantina grassa)
  • un vaso per trapiantare la piantina
  • un po’ di terra
  • un bicchiere
  • un vassoio o un piatto

Prima fase

esercizio per imparare a perdonare

Scrivi sul foglio tutte le parole che raccontano il tuo stato d’animo (dolore, rabbia, tristezza eccetera). Ognuno avrà le sue, sii sincero e crudo, non ingannarti, anche se sono parole brutte le vedrai solo tu.

Siedi in posizione del loto o gambe incrociate, con la colonna vertebrale appoggiata e sostenuta e metti due ciotole di acqua fredda davanti a te.
Inizia a respirare profondamente ad occhi chiusi per 5 minuti per ritrovare il tuo corpo e la tua mente.

Continuando a respirare profondamente, immagina che tutto il dolore e la tristezza esca dalle tue mani con colori intensi, rosso scuro, viola, blu, grigio anche nero, fai uscire il colore che si presenta alla tua mente nel momento in cui pensi alle parole di dolore che hai scritto.

Immergi le mani nell’acqua lasciando che energia e colore fluiscano in essa.

Se una ciotola non basta usane un’altra e continua a respirare visualizzando le tua emozioni, non preoccuparti se piangi, lascia scorrere le lacrime come un fiume che lava la tua anima, non trattenere nulla.

Quando ti sentirai abbastanza scarico, un po’ esausto ma profondamente libero, apri gli occhi, togli le mani dall’acqua e versala a terra se hai un giardino, altrimenti nel lavandino facendo scorrere acqua pulita.

Risiediti con la ciotola vuota davanti a te e ad un bicchiere d’acqua, prendi il foglio su cui hai scritto le tue parole di dolore.

Riprendi la respirazione, questa volta più diaframmatica, e quando ti senti pronto e determinato inizia a spezzare il foglio in tanti piccoli pezzi, osserva le parole che strappi, ammira le tua mani che lo fanno, annusa l’aria e senti il profumo di libertà.

Quando hai finito versa l’acqua del bicchiere sulla carta, fai assorbire e inizia a lavorare la carta macerata con le mani impastando con le dita e sbriciolando le parole e il loro significato.

Quando avrai ottenuto un impasto un po’ appiccicoso strizzalo bene e stendilo sul vassoio o sul piatto, molto sottile. Deve asciugare, quindi puoi stenderlo su di un materiale che può andare in forno e asciugarlo a 50° per 15/20 minuti, oppure usare un phon o ancora aspettare il giorno dopo.

È importante mentre fai tutto questo che tu continui a respirare col diaframma. Può essere che, preso dal significato simbolico dei tuoi gesti, ti distrarrai: in quel caso fermati e riprendi il respiro, che è la tua forma di possesso dell’energia.

Seconda fase

fiore e rispetto per la natura

Quando la carta sarà asciutta puoi procedere con la seconda fase.

In piedi, inspira e allunga le braccia sopra la testa, pensa al sole e alla sua forza ed espira scendendo con le braccia, continua a respirare profondamente ricordando le emozioni e i gesti della prima fase senza soffermarti troppo, come se tu stessi vedendo nella mente un film.

Se nel ristabilire il contatto tra le due parti senti le mani calde ed energetiche puoi bagnarle, non ricacciare all’interno le energie ma portale fuori.

Con molta attenzione poni la tua carta delle parole dissolte su un materiale resistente al fuoco (es. una pentola), bagnala con l’alcol e dagli fuoco; non buttare la cenere.

Mentre la carta brucia e il fumo sale respira con gioia e immagina le tue parole di dolore salire e dissolversi, nella tua mente sono il tuo dono al cielo e all’universo.

Prendi il vaso vuoto e metti la terra fino a metà, falla scorre nelle mani respirando con profondità e senti la vita dentro di essa, versa la cenere della carta sulla terra e poi prendi la piantina, tolta dal suo vasetto ormai stretto, e appoggiala nel vaso con le radici sulla cenere.

Respirando entra in contatto con la piantina, senti la sua linfa scorrere sotto le tue dita, pensa alle sue radici che si nutrono del tuo dono, delle tue parole.

Continuando a respirare copri le radici con la terra rimanente e tutta intorno alla piantina, bagnala con acqua fresca e pulita mentre respiri ed immagina le radici che si nutrono.

La cura quotidiana che porterai a questo essere vivente sarà un balsamo alla tua anima, ti permetterà ogni giorno di rinnovare il tuo dono, ti farà sentire libera e pronta a nuova vita.

Questo sito è gratuito e senza pubblicità

Tutti i contenuti sul nostro sito sono al 100% gratuiti e senza banner pubblicitari.

È una scelta consapevole per offrirti una migliore esperienza di navigazione.

Contiamo sull’aiuto dei nostri lettori per continuare a mantenere attivo questo portale, producendo sempre più articoli e risorse sulla meditazione e la crescita personale.

Ecco come puoi sostenerci:

2 risposte

  1. Ho tanto da perdonare ,a me stessa e agli altri, è veramente difficile! Il bisogno di aver ragione e di difendermi è molto forte, interviene sempre quando penso al perdono. So che sarebbe tutto più leggero, se lasciassi andare tutto il vecchio vissuto ,.ma la rabbia ,il dispiacere il risentimento mi hanno sempre accompagnato e ancora oggi ci sono. Quando mi arrabbio, mi tornano in mente tutti i torti subiti. Faccio fatica a nn esplodere, Dopo c’è tanta tristezza, qualcosa è cambiato, prima restava solo rabbia, son consapevole però che in fondo in fondo mi sento ancora una vittima che è destinata a subire. Sento la pesantezza delle mie parole e mi vergogno, nn son più sicura di volerle condividere . La vocina dice no no no, provo a farlo. Ringrazio di cuore tutti voi , per i vostri insegnamenti e consigli, son molto preziosi, a volte arrivano al momento giusto!! Un abbraccio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *