Moksha, conosciuto anche come mukti, è lo stato di liberazione dal ciclo vita-morte (samsara), dall’ignoranza e dai limiti di un’esistenza mondana che impediscono di sperimentare la beatitudine divina.
Secondo la filosofia indiana moksha è l’ultimo Purushartha, ovvero il quarto e ultimo obiettivo dell’esistenza umana.
In questo articolo scopriamo il significato di moksha, le sue origini e il suo ruolo nelle principali religioni e filosofie indiane.
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ToggleMoksha, cosa significa?
Il termine moksha deriva dal termine sanscrito mukt, che significa letteralmente “liberazione” o “emancipazione”.
Il concetto di moksha è strettamente legato a quello di coscienza universale, ovvero uno stato cui l’uomo accetta il Sé come tutt’uno con il resto dell’Universo.
Moltissime religioni e filosofie indiane, in primis l’induismo, ritengono che l’unico modo per ottenere la libertà assoluta, la pace, la beatitudine e l’unità con il Divino sia raggiungere lo stato di moksha.
Sebbene il termine sia spesso usato in modo intercambiabile con il concetto buddista di nirvana, gli induisti credono che il nirvana sia più specificamente lo stato in cui una persona entra dopo aver raggiunto il moksha.
Cos’è lo stato di Moksha
Moksha rappresenta un diritto di tutti gli esseri viventi, non soltanto degli umani. Qualunque creatura nel ciclo del karma può raggiungere lo stato di liberazione dal ciclo delle reincarnazioni, anche se naturalmente l’uomo è in una posizione privilegiata rispetto agli animali per perseguire questo cammino.
Ma come possiamo descrivere questo stato? Le sue accezioni cambiano a seconda della religione e della scuola filosofica che lo descrive, ma tutte concordano sul fatto che chi raggiunge moksha non è più vincolato al ciclo di nascita e morte, raggiunge una perfetta armonia con il divino e una pura e assoluta beatitudine.
Questo non significa che raggiungeremo moksha solo una volta morti: l’induismo distingue infatti tra chi raggiungere questo stato quando lascia il corpo fisico (videhamukta) e chi lo raggiunge quando è ancora in vita (jivanmukta).
In questo secondo caso, moksha è raggiunto da anime particolarmente illuminate e di alta levatura spirituale (come maestri e guru). Queste scelgono consapevolmente di mantenere il loro corpo terreno per guidare altre persone verso la realizzazione spirituale.
Pertanto, un jivanmukta è anche chiamato Atma Jnani (colui che possiede la conoscenza di sé stesso) e Brahma Jnani (colui che ha raggiunto il senso dell’universo). Alla fine della loro vita, i jivanmukta ottengono paramukti (la liberazione finale).
Quando una persona Jivanmukta insegna agli altri la conoscenza di sé e dell’universo, viene chiamata Avadhuta. Alcuni Avadhuta ottengono il titolo di Paramhamsa (illuminato).
Il concetto buddista di Bodhisattva è molto vicino a questa definizione.
Raggiungere la fine del ciclo
Conosco quel Supremo Essere, rifulgente come il Sole, che splende sull’altra riva, oltre l’oscurità.
– Shvetashvatara-upanishad, 3.8
Sebbene induismo, buddismo, giainismo e sikhismo abbiano ciascuno prospettive uniche su moksha, il termine è più diffuso nell’induismo, per cui ci soffermeremo sulla sua accezione nell’ambito di questa religione.
Gli induisti credono in un ciclo di morte e rinascita, noto come samsara, in cui la nostra prossima incarnazione dipende dal karma, o dalle azioni della vita precedente.
Moksha segna la fine di questo ciclo, in cui l’essere umano supera tutta l’ignoranza (chiamata avidya) e i desideri di un’esistenza mondana per raggiungere la massima libertà e beatitudine.
In alcune scuole dell’induismo, moksha ha anche connotazioni di autorealizzazione e liberazione.
I quattro obiettivi della vita
Moksha è un concetto al centro della filosofia indiana in generale (non soltanto dell’induismo), in quanto costituisce uno dei quattro obiettivi della vita umana, conosciuti come Purushartha.
I tre purusartha prima di moksha sono:
- Dharma: vivere una vita virtuosa e morale
- Artha: ottenere i mezzi per la ricchezza, la sicurezza e la prosperità
- Kama: apprezzare i piaceri, il godimento e l’amore
Si ritiene che, quando gli esseri umani agiscono per raggiungere questi tre obiettivi, iniziano lentamente a rilasciare l’attaccamento ai beni materiali e ai desideri mondani, fino a quando non sono in grado di raggiungere moksha.
Esiste una sorta di contraddizione intrinseca tra il raggiungimento di questi obiettivi e il raggiungimento di moksha, che ha dato origine al concetto di “azione guidata dal dharma”, altrimenti nota come Nishkam Karma.
Questo è un messaggio centrale della Bhagavad Gita (un testo sacro induista), in cui l’equilibrio tra azione e rinuncia può diventare un mezzo per raggiungere la massima libertà di moksha.
Anche gli otto rami dello yoga delineati da Patanjali nei suoi Yoga Sutra possono essere interpretati come passi per il raggiungimento del moksha. Nello yoga ci sono diversi percorsi per raggiungere questa libertà: Jnana, Bhakti, Karma e Raja.
Moksha e l’induismo
Il concetto di moksha è strettamente legato al concetto di anima e alla teoria del karma. Per comprendere a fondo il moksha nell’induismo, quindi, dobbiamo prima comprendere il concetto di anima.
L’anima è presente in molte altre religioni del mondo, ma il suo significato differisce significativamente da una tradizione all’altra.
Nel giudaismo e nel cristianesimo, solo gli esseri umani hanno anime immortali. Gli animali e le altre creature no.
Nell’induismo, invece, l’anima è ovunque. Dal più piccolo degli insetti al più grande dei mammiferi, l’anima è onnipresente.
Inoltre, l’induismo crede che l’anima sia in grado di trasmigrare. In altre parole, l’anima viaggia da un corpo all’altro. L’anima non può essere uccisa, bruciata o ferita. Non nasce né muore. Semplicemente viaggia da un corpo all’altro.
La condizione dell’anima e la qualità della rinascita sono determinate dal totale cumulativo del karma delle vite passate.
Se le tue buone azioni superano quelle cattive, allora l’anima viene liberata dal ciclo eterno di nascita e rinascita. Questa liberazione o salvezza è, appunto, moksha.
Come si raggiunge Moksha?
Per raggiungere moksha, l’uomo deve distaccarsi dai desideri, dalla rabbia, dalle paure e dalla frustrazione di questo mondo. È così che può ottenere la liberazione in questa vita.
Tale liberazione implica disfarsi dalla negatività del mondo e acquisire la vera conoscenza dell’anima (atma) e dell’universo (brahma).
Raggiungere questo stato significa distaccarsi dalla materialità dell’esistenza e raggiungere la beatitudine divina.
Una volta raggiunto il moksha, incontriamo l’unità con l’Essere Supremo, ci liberiamo dall’ego e otteniamo la realizzazione del Sé divino.
La filosofia induista crede che il samsara sia la fonte della schiavitù e della miseria.
Cosa accade dopo aver raggiunto moksha?
Dopo aver raggiunto moksha, l’anima perde il suo corpo impermanente legato al genere e può fare il suo ingresso a Vaikuntha, o Moksha Loka, il mondo liberato. Questo è il regno supremo del dio Vishnu.
I testi sacri definiscono il Moksha Loka come la regione più alta oltre l’oscurità.
A Vaikuntha, il dio Vishnu risiede con la sua consorte Lakshmi o Sri. Questo è il luogo della beatitudine ultima e spesso i testi del Visnuismo lo descrivono come un luogo luminoso dove i residenti fluttuano nei loro corpi divini.
Nessuna anima ritorna mai al ciclo di samsara una volta che raggiunge Vaikuntha. Al contempo, è anche impossibile raggiungere fisicamente Vaikuntha viaggiando. Si può accedere alla sacra terra di Moksha solo attraverso la liberazione dello spirito.
Conclusione
È importante ricordare che l’induismo non è solo una religione, ma anche uno stile di vita culturale.
Per questo il concetto di moksha è molto più ampio rispetto a un mero dettame religioso. Consiste nel vivere una vita piena e in linea con il nostro dharma, per portarci infine al più alto stadio di liberazione.
Indipendentemente dalle proprie convinzioni religiose, questo concetto ci insegna l’importanza del non attaccamento e dell’unione con l’Universo, entrambi concetti fondamentali nello yoga e nella meditazione.
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